Mario Corso: una bandiera nerazzurra di 78 anni
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ToggleQuando ci lasciano le bandiere, purtroppo, tifosi o non tifosi che siamo, viene sempre da lasciar cadere una lacrima dal viso. Una bandiera, mai come mai, al giorno d’oggi è un prezioso cimelio in un contesto sportivo e calcistico ormai in continuo upgrade.
Per cui, quasi quasi, chi resta nella stessa squadra per cinque anni è una bandiera.
Mal d’altronde come si dice in questi casi erano altri tempi.
I tempi per esempio di Mario Corso, centrocampista e simbolo di un Inter, quella vincente degli anni Sessanta. Una Beneamata così forte e vincente da potersi permettere di canzonare gli odiati cugini (bauscia e casciavit, la storia di una stracittadina da conoscere).
Certo poi ci sono vessilli indelebili come il caro avvocato Prisco, che sapeva punzecchiare così tanto i milanisti, da esser simpatico anche a loro.
Lui, Mario Corso, non era uno di quelli che ironizzava. Lui era uno molto cinico e lucido. Quando si parlava di gioco della squadra o di mercato o di un singolo o di una partita, diceva poco, ma era quello che doveva dire. Niente di più e niente di meno.
A volte le vere bandiere sono anche persone come lui.
Lui timido e signorile, magari lasciava poche dichiarazioni, ma quando si illuminava erano guai per gli altri. Spesso si distraeva, scompariva sulla fascia e poi, trovava il guizzo e la giocata che serviva alla sua squadra.
E se in quell’Inter brillava tutti si accorgevano di Suarez, Peirò, Mazzola e Jair. Altrettanto si accorgevano di Mario Corso.
Uno di quei campioni che parlano poco e vincono molto. Ed è per questo che Carlo Tagnin a proposito di lui disse: «Quando Suárez era in forma sapevamo di non perdere, ma quando Corso era in forma sapevamo di vincere.»
Insomma, non è che Mario Corso, fosse uno capitato per caso in campo. E infatti con lui l’Inter vinse tanto, anzi tutto ciò che c’era da vincere.
Inter-Sampdoria: lutto al braccio
E domani, in un San Siro per ora vuoto, prima di Inter-Sampdoria (tutta la storia delle sfide più belle) la squadra nerazzurra renderà l’onore, con un minuto di silenzio, a chi, con quelle qualità avrebbe potuto giocare anche in questo calcio di oggi: muscoli, velocità e marcature preventive.
Mario Corso: carriera e statistiche
Mario Corso era nato a San Michele Extra (quartiere di Verona) il 25 agosto 1941. Iniziò a giocare per una squadra locale (Azzurra Verona) e poi si trasferì all’Audace San Michele. Qui fu notato dall’Inter e passò a Milano.
Il suo debutto nella squadra milanese fu celere: a 16 anni e 322 giorni, in una partita di Coppa Italia contro il Como. Segnò subito e divenne il più giovane marcatore dell’Inter.
L’anno dopo siglò il primo goal in A. Era il 30 novembre 1958 e l’allora diciasettenne contribuì al successo per 3-0. Da qui in poi Mario Corso non si mosse per molti anni da Milano.
Pupillo del presidente Angelo Moratti, nonostante un rapporto di alti e bassi con l’allenatore Herrera, vinse con la Beneamata quattro scudetti (1963, ’64, ’66 e ’71), due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali nel 1964 e ’65.
A proposito di momenti indelebili, indimenticabile per qualunque interista, la rete che Corso siglò contro l’Independiente nel primo tempo supplementare.
Chiuse la carriera a Milano in una classica di sempre: Inter-Juventus. Era il 17 giugno 1973 ed era un giorno di Coppa Italia.
Dopo tanti anni , esattamente alla 507esima partita, Mario Corso si trasferì. Lascio l’Inter con la bellezza di 95 goal.
Mario Corso: posizione in campo e il Sinistro di Dio
Mario Corso era un’ala sinistra, con grande estro e tecnica. Oltre che saper svariare sulla propria fascia di competenza, era capace di spostarsi e accentrarsi, giostrando sulla trequarti. Da qui un possibile paragona con un altro campione indimenticabile Ryan Giggs, ex Manchester.
Era noto a tutti per essere l’inventore della punizione detta “a foglia morta”. E infatti una delle abilità di maggior spicco. A cui si aggiunge grinta e mordente.
Mario Corso al Genoa
Il trasferimento nella sua seconda casa, a Genova, fu meno prolifico e vincente. Con il Genoa non vinse nulla, collezionò 31 presenze e 6 reti. Fu qui che l’infortunio con rottura alla tibia, lo tolse dal calcio.
Mario Corso: allenatore
Iniziò poi la carriera da mister di calcio. Prima la Primavera del Napoli con cui vinse lo scudetto di categoria. Poi la salvezza con Lecce e Catanzaro. Tornò poi all’Inter da allenatore del settore giovanile, e poi anche la prima squadra. Il 24 novembre la sua prima in panchina è contro la Juventus del Trap. Quindi vince il derby del 6 aprile 1986 e condusse al sesto posto l’Inter.
Altra soddisfazione fu il campionato di C2 vinto con il Mantova nel 1987-88 e quindi Barletta che porta alla salvezza in B. Chiude a Verona anche questa carriera e diventa osservatore dell’Inter.
Mario Corso: commentatore televisivo
Come osservatore fu chiamato talvolta anche in televisione. Ed è in questi istanti che ritornava lucido, essenziale e critico al punto giusto.
Se ne va dunque un grande campione silenzioso e uno di quelli che i colori per la maglia li aveva nel cuore e negli occhi.
A tal punto che Tarcisio Burgnich ha detto: “Mario Corso era l’Inter“.