Oggi intervistiamo Simone Maraschi, un grande amico di Tifoblog, un allenatore con grande esperienza nel calcio femminile che ha allenato le Juniores del Fanfulla, della Riozzese, della Scarioni (maschile). Ha guidato la prima squadra di: Cologno calcio femminile (stagione 2019-20), Ac Crema 1908 (stagione 2020-21) e della Doverese (stagioni 2021-22 e 2022-23).
D) Qual è la tua situazione attuale?
S) Questo è il secondo anno che scelgo di prendermi una pausa dall’allenare una squadra. Ho deciso di continuare la collaborazione con la Macallesi 1927 (società dove ho mosso i primi passi da giocatore) per aiutare la crescita dei ragazzi e dei bambini attraverso gli allenamenti individuali e in piccoli gruppi.
D) La motivazione è tutto nel calcio come mostrano i risultati di Antonio Conte al Napoli. Cosa nel passato ti ha tolto motivazione o ti ha fatto pensare di smettere di allenare.
S) Penso che senza la giusta motivazione non ha senso iniziare un ulteriore percorso in una nuova società.
A questi livelli penso sia fondamentale la serietà di una società e la lealtà delle persone. Nel momento in cui queste due cose vengono a mancare non ha senso prendere un impegno stagionale ed investirci del tempo quando dall’altra parte viene visto solo come un passatempo.
Quando mi confronto con amici, mister o miei ex allenatori mi dicono tutti che secondo loro pretendo troppa serietà, che sono tempi diversi rispetto a quando giocavamo noi. La differenza abissale rispetto al passato recente è che ci sono pochi ragazzi che hanno voglia di prendere impegni seriamente, di darsi degli obiettivi e di volersi mettere alla prova e guadagnarsi qualcosa faticando. Purtroppo ora ottengono tutto e subito senza nemmeno fare fatica e questa cattiva abitudine li ha fatti allontanare anche dallo sport.
D) Dove ti piacerebbe mettere in gioco la tua professionalità?
S) In questo momento, purtroppo, non mi sento ancora pronto a rimettermi in gioco. Penso che la soluzione migliore per me sia “fare un passo indietro” e mettermi a disposizione come collaboratore di un allenatore preparato e di esperienza che allena in categorie superiori a quelle in cui ho allenato io. In questo modo potrò imparare qualcosa di nuovo, fare nuove esperienze e di conseguenza rientrare nel giro dalla porta secondaria.
D) Quali pecche noti nel movimento del calcio femminile?
S) Da quando non sto allenando, sto seguendo veramente poco il calcio femminile dilettantistico, ma i problemi che sono più o meno gli stessi che presenti anche nel settore maschile. La differenza la si nota meno nel calcio maschile perché i numeri dei giocatori, allenatori, dirigenti e delle persone che seguono sono nettamente superiori e di conseguenza i difetti nel femminile sono più evidenti.
D) Raccontaci le tue collaborazioni nell’ultimo anno. Quali obiettivi hai raggiunto?
S) Durante la scorsa stagione sportiva la mia intenzione era di non fare assolutamente nulla; ma a metà ottobre ho proposto alla Macallesi 1927 di iniziare una collaborazione “senza impegno” e di aiutarli ovunque avessero avuto bisogno di una mano cosi da non stare totalmente lontano dai campi. A fine stagione ho contato oltre 300 allenamenti individuali ed una decina di sostituzioni per coprire l’assenza degli allenatori. E’ stata un’esperienza interessante e poco impegnativa a livello mentale rispetto alla responsabilità di allenare una squadra durante una stagione intera. Inoltre è stato molto istruttivo allenare i bambini e confrontarsi con i loro allenatori.
D) Cosa manca al calcio femminile per il salto di qualità ed una maggiore professionalizzazione?
S) Non penso ci sia un’unica soluzione e corretta per far migliorare ulteriormente il movimento.
Quello che ho notato in questi dieci anni di lavoro nel calcio femminile è che ha fatto avvicinare sì molte ragazze a questo sport però la crescita in termini numerici ha fatto abbassare notevolmente la qualità. Sembra che molte società si interessino oggi al calcio femminile per motivi che non sono la crescita del movimento ma per avere più visibilità o per altri interessi. L’aver “obbligato” le società professionistiche maschili a creare i settori giovanili femminili secondo me è stata una lama a doppio taglio perché, come detto precedentemente, la qualità in proporzione ai numeri è molto bassa, le ragazze/bambine più portate o più brave vengono prese tutte dalle squadre professioniste, i quali hanno la possibilità di lavorare al meglio e crescere un numero ridottissimo di atlete. Questo importante gap lo si vede dalla composizione dei campionati e dai relativi risultati, dove troviamo le professioniste del settore giovanile giocare una parte di stagione contro i maschi in modo da alzare la soglia di difficoltà. Inoltre i campionati giovanili femminile dilettantistici, nonostante ci sia un numero ridotto di squadre, mostrano ancora risultati rugbistici.
D) Se passassi al calcio maschile, dove ti immagineresti?
S) Se tornassi ad allenare mi piacerebbe, ovviamente, trovare una realtà che mi dia la possibilità di lavorare nelle giuste condizioni e dove la meritocrazia possa essere messa al primo posto.
Non nascondo che le probabilità che possa tornare ad allenare nel calcio femminile sono veramente basse per quanto riguarda le categorie dilettantistiche perché è difficile trovare dei progetti interessanti e società solide con le idee chiare nel processo di crescita.
Gli ultimi anni mi hanno tolto parecchie energie e mi sono reso conto che il mio modo di lavorare è troppo dispendioso sia a livello fisico che mentale soprattutto se non sei seguito al 100% da tutti gli elementi che compongono la squadra e se non hai al seguito persone molto disponibili.
Io resto sempre dell’idea che la categoria dove secondo me posso esprimermi al meglio e possa essere un supporto importante per i ragazzi è la Juniores/Primavera perché troverei molte più soddisfazioni nell’aiutare un ragazzo a fargli fare il salto nel calcio dei grandi rispetto alla vittoria di un campionato.
D) Le relazioni con le persone per te sono fondamentali. Vedi un cambiamento in positivo o in negativo nel calcio femminile?
S) Nella vita, in tutti i contesti in cui ci troviamo giornalmente abbiamo a che fare con persone diverse tra loro, nel lavoro come nello sport troviamo persone con cui leghiamo di più e altre con cui leghiamo di meno. Secondo me un gruppo unito che pensa al collettivo e non al singolo, durante la stagione sportiva o durante il percorso, ha maggiori possibilità di arrivare al raggiungimento degl’obiettivi prefissati.
D) Devi dare un messaggio per un papà o una mamma che vuole iscrivere il proprio figlio o la propria figlia ad una scuola calcio. Cosa gli/le diresti?
S) Un messaggio che darei ai genitori è quello di pensare al bene del proprio figlio/a, di lasciarli divertire e non mettere inutile pressione perché se verranno riconosciute delle qualità, il tempo farà il suo corso. Consiglio di far lavorare serenamente gli educatori e allenatori perché sono fondamentali per la crescita del loro figlio/a sul campo da calcio, come i maestri a scuola, e come i genitori stessi a casa.
Grazie mille per la tua testimonianza, a gonfie vele!
ALESSANDRO DELFIORE