Caro Signor Rossi, Signor Paolo Rossi, PABLITO,
ho atteso che si completasse il tuo ultimo Atto Terreno, incollato alla televisione, prima di scriverti. Sì, perché ho proprio bisogno di raccontarti delle piccole storie, che mi sono tenuto dentro per tanti anni. Storie di vita, di sensazioni e di emozioni. Quasi quanto quelle che tu ci hai donato quando con le tue gesta sportive illuminavi ogni campo di calcio. Lascio ai Maestri della penna il raccontare le tue gesta, lascio al ricordo della Gente il risuonare della voce di Gianpiero Galeazzi – per tutti Bisteccone – nel descrivere i tuoi capolavori calcistici. Lascio infine a chi ti ha voluto bene e ti è stato sempre vicino il ricordare il marito, il papà, il compagno di squadra, nonché l’amico.
Io desidero farti partecipe di sensazioni ed emozioni più semplici, ma che in quei momenti hanno mostrato di te aspetti impensabili. Andiamo per ordine.
Paolo Rossi
Alla fine degli anni ottanta, per ragioni puramente lavorative, ho frequentato per un periodo abbastanza lungo la Città di Vicenza. Era già passato qualche anno da quando avevi lasciato la Squadra del LanerossiVicenza, per altre più o meno prestigiose casacche, ma la Città si ricordava ancora con tanto calore e affetto di te. Nei loro discorsi tu eri sempre il “ragazzotto” che arrivava prima sul pallone e che faceva impazzire le difese avversarie; nei loro discorsi, non uno, te lo posso assicurare, che credesse nella tua colpevolezza sulla brutta storia dello “scandalo del calcio italiano del 1980” nel quale sei stato sicuramento l’imputato dal nome più risonante. Anzi si rammaricavano che questo fatto ti avesse precluso la possibilità di partecipazione al Campionato Europeo 1980, svolto in quell’anno in Italia. Nel confermare questa loro certezza, nessuno perdeva la speranza di rivederti sui campi di calcio più grande di prima. La loro tenacia oggi possiamo ritrovarla nella tua, nel tuo coraggio di guardare le cose essenziali della vita tralasciando ciò che in fin dei conti ha poco valore e nessuna valenza. Questo è quello che mi è stato raccontato allora da tante “persone comuni”: il giornalaio, il barista, il barbiere, il ristoratore e tanta di quella gente che, il giorno del tuo funerale, ha avuto il bisogno di farti sentire la loro vicinanza, di dimostrarti il loro attaccamento, il tutto con una compostezza molto simile a quella che hai sempre avuto. Di te tutti si ricordano: il sorriso, la disponibilità, la calma, l’essere pronto a mettersi in gioco. Non una sola parola fuori posto, non un pettegolezzo, ma un calore nel parlare di te che sembrava tutti ti conoscessero quasi quali parenti.
Caro Pablito, ho un altro ricordo che mi accompagna da anni e del quale sei stato assoluto attore protagonista. E’ il ricordo di un momento e di una situazione che allora mi ha dato la forza di andare avanti e guardare con più serenità e convinzione al futuro. Ora ti racconto. Nel 1982, precisamente il 5 luglio intorno alle ore 16,00 locali, mi trovavo presso l’Aeroporto di Luton (era allora per importanza il terzo Aeroporto dell’Area Londinese).
A fare cosa? Avevo trovato tramite un’ Agenzia Turistica italiana un lavoro part-time a Londra. Quel giorno il mio impegno lavorativo era quello di andare ad accogliere un gruppo di persone in arrivo dall’Italia per poi seguirle nel loro soggiorno inglese. Ma in quel giorno si sarebbe giocata una partita decisiva nel Mondiale di Spagna 1982 per la nostra apoteosi finale: Brasile contro Italia. Mi presentai con gran margine di tempo in Aeroporto sull’arrivo del volo dall’Italia, perché ero convinto di poter vedere la partita su uno degli schermi televisivi posizionati all’interno dell’allora piccolo Aeroporto. Nulla da fare: nessun televisore “pubblico” sintonizzato sulla partita, solo quelli interni degli uffici, ma che purtroppo non erano aperti agli estranei ai lavori. Provai in ogni modo a poter entrare in qualche ufficio, usai tutte le mia arti di persuasione, ma alla fine dovetti rinunciare. Ero, ti posso assicurare, arrabbiato, disperato e deluso. E’ con questo aggrovigliamento di sentimenti che uscii sul piazzale antistante l’Aeroporto e sconsolato stavo girovagando nei dintorni – nel frattempo la partita era già cominciata – quando in lontananza, all’altezza del gabbiotto del Custode del parcheggio vidi una luce, una immagine che mi fece sobbalzare: era un piccolo televisore portatile che il Custode si era portato da casa. Mi precipitai e chiesi di poter salire anch’io sul prefabbricato per vedere la partita. Neppure questo mi fu possibile. Ottenni, però, di poter vedere il resto della partita all’esterno del gabbiotto, in piedi sulla base in cemento dello stesso e aggrappato ad un finestrino. Fu tormento e gioia. Inutile che ti racconti come è andata; lo sai meglio tu: Rossi, Rossi, Rossi e il grande Brasile se n’è tornato a casa con un 3 a 1 memorabile. E adesso viene il bello. Tutti quelli che prima han fatto ostruzione mi son venuti a cercare. Il Custode, uscito dalla guardiola mi ha abbracciato facendo passi di danza, il Caposcalo dell’Aeroporto che prima non mi aveva dato il permesso di entrare mi ha invitato nel suo ufficio per festeggiare, parte del personale addetto alla movimentazione passeggeri si è precipitato a farmi i complimenti, il tutto a tuo nome: Paolo Rossi – Pablito! Ma non è finita: l’aereo dall’Italia era in ritardo e quindi ci sarebbe stato il tempo per organizzare un piccolo benvenuto ai passeggeri. Chi si è prodigato a stampare su lunghi fogli il risultato della partita, chi è andato alla ricerca di fogli colorati per poter costruire una Bandiera Italiana, chi ha predisposto un percorso dei passeggeri in modo tale che uscissero in un punto ben delimitato, dove avrebbero potuto essere accolti da una gran Bandiera e un enorme striscione con scritto TRE VOLTE ROSSI. Da quel giorno tutti mi conoscevano in Aeroporto e questo grazie a te.
Falcao, il grande Falcao, ha dichiarato che hai fatto piangere di dolore un’intera Nazione: il Brasile. Ma hai anche fatto anche piangere di gioia la tua Nazione: l’Italia. Tutto vero. Tutto tremendamente vero!
Poi la storia ci racconta che quel Mondiale di Calcio l’abbiamo anche vinto qualche giorno dopo – l’11 luglio allo “Estadio Santiago Bernabeu de Madrid – passato alla storia come la “Notte del Bernabeu” contro la Germania Ovest e sempre nel tuo nome.
Grazie Pablito, non tanto per i risultati sportivi, ma soprattutto per quello che ci hai fatto vedere col tuo essere uomo e atleta. Così si spiega come mai a distanza di quasi quarant’anni i ragazzi di allora hanno voluto darti di persona l’ultimo saluto. Così si spiega come tanta gente, lungo le strade percorse da Siena fino a Vicenza, nella piazza antistante il Duomo e nelle sue vie laterali, sulla via del ritorno fino alla destinazione finale a Perugia, ti abbia tributato e dimostrato tutto il suo affetto.
Anch’io, Signor Rossi, Signor Paolo Rossi, PABLITO, voglio unirmi al loro coro e farti sapere quanto ti sono stato riconoscente, quanto il tuo nome mi ha permesso di sentirmi fieramente italiano, dopo essere stato poco o nulla considerato, proprio come italiano.
Con riconoscenza e stima. Mi auguro, il tuo amico
Paolo Carazzi
Milano, 13 dicembre 2020