Sono pronto a correre il rischio di essere contagiato, ma voglio tornare a giocare. Lo dico con la consapevolezza che il rischio sarà molto piccolo, ma anche per la solidarietà con coloro che hanno giocato per noi dal primo minuto e che continueranno così per molti giorni (i medici ndr).
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Dobbiamo giocare con le massime misure di sicurezza, sapendo che non sarà mai sicuro al cento per cento, per noi come per qualsiasi lavoratore.
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Penso che abbiamo quel debito, dobbiamo restituire alla società quel che abbiamo ottenuto in questi anni, e non dico solo il termini economici: dobbiamo tornare a far divertire la gente, perché non parli solo di virus. Leggo in questi giorni di danni economici, di calendari, di retrocessioni, ma non leggo nulla di passione della gente. Certo, se vedo quanti milioni di persone si muovono attorno al calcio, le tasse, i posti di lavoro.. Ma non è solo quello. Dobbiamo cercare di far divertire di nuovo le persone con il calcio, offrendo col nostro coraggio e la nostra forza un supporto fornendo supporto a tutti i lavoratori che ci hanno mostrato quella forza.
Queste sono le parole pronunciate da Ivan Rakitic, centrocampista del Barcellona, nell’intervista al giornale spagnolo Marca. Parole che esprimono un punto di vista, oltre che legittimo, rappresentativo di una realtà che si discosta dal clima che si sta creando in Italia. E infatti alla fine la Liga ha deciso di riprendere prima della A.
Nel nostro Paese, al solito, lo spazio era occupato principalmente dalle polemiche. Polemiche finite. ora si gioca, ma non tutto è stato così semplice. Ecco qua un po’ di storia di questa ripartenza!
Serie A: il protocollo
Indice dei contenuti
Toggle- Serie A: il protocollo
- Protocollo Serie A: Nessun rischio zero
- Serie B e Lega Pro: perché non possono ripartire?
- Serie A: i veri privilegi
- Vincenzo Spadafora: il ministro che si era opposto
- Serie A perché è bloccata? Il caso del calciatore positivo
- Il pericolo diffusione tra i calciatori
- Serie A: cosa accade se non si riparte?
Il punto cardine della ripartenza è il celeberrimo protocollo stilato dalla FIGC e proposto al Governo. Cerchiamo di riassumere in breve in cosa consiste. Il protocollo proposto dalla FIGC è un documento redatto in due parti in cui si spiegano tutte le azioni che le società dovranno seguire dalla formazione del gruppo squadra e l’entrata in ritiro, fino allo svolgimento delle partite.
- squadre costituite da un gruppo chiuso
- senza contatti con l’esterno
- un gruppo, isolato in strutture attrezzate e sanificate, e con precauzioni molto stringenti per la prima settimana e via via più permissive, fino alla normalizzazione del lavoro in allenamento
- continuo monitoraggio della salute dei calciatori e di tutto il gruppo di persone che ne seguono il lavoro (esteso anche ai servizi), sia dal punto di vista fisico che con controlli sierologici e tamponi.
- in sostanza si chiudono tutti gli addetti ai lavori in un gruppo isolato e super controllato che non ha contatti con l’esterno.
Protocollo Serie A: Nessun rischio zero
Serie B e Lega Pro: perché non possono ripartire?
Il costo stimato dell’applicazione del protocollo è di minimo 30.000 € a settimana, senza considerare il costo per le strutture che non sono a disposizione di tutte le società e che quindi dovrebbero essere prese in affitto in alcuni casi. Il peso economico dell’applicazione del protocollo è chiaramente altissimo, ma le perdite che le società dovrebbero affrontare se la Serie A si fermasse è decisamente maggiore.
Serie A: i veri privilegi
Il maggiore equivoco dovuto all’applicazione del protocollo della FIGC è quello di considerare i calciatori come privilegiati. In un momento in cui mancano i tamponi e i test per gli operatori del settore della sanità e per molte persone che presentano i sintomi del virus, i calciatori sono super controllati.
Un po’ di chiarezza sui tamponi
La parte tecnologica è quella che riguarda l’analisi dei tamponi. Le strutture sanitarie pubbliche non sono in grado di svolgere l’enorme mole di lavoro proposto. Quindi i calciatori sarebbero privilegiati passando davanti alla gente comune per l’analisi dei campioni. Assolutamente no, e questo perché basta rivolgersi a strutture private. Per l’analisi dei campioni è necessaria una procedura denominata reazione a catena della polimerasi (PRC) che consente l’amplificazione dei microrganismi virali e l’individuazione di casi positivi da presenza di patogeni. E ci sono tantissimi laboratori privati in grado di realizzare queste analisi. Anche per questo basta fare una ricerca su Google. Stessa cosa per i test sierologici. I test esistono, basta comprarli.
I calciatori come gli operai
Il vero privilegio è che si pretenda il rischio zero, che evidentemente è impossibile da raggiungere, per i calciatori, mentre non lo si pretende per tutti. Allora l’industria può ripartire, molti servizi ripartono, le poste e il servizio di consegna non si sono mai fermati, la filiera dell’alimentazione non si è mai fermata, i supermercati, ecc.., mentre per il calcio si vuole il rischio zero. Perché? Forse perché il calcio è più in vista e un calciatore contagiato riempie le pagine dei giornali, mentre un fattorino no?
È questo che non è accettabile, la vera disparità. Il rischio zero non esiste per nessuno, e siccome non ci si fermeranno le attività che potrebbero compromettere la salute pubblica, non si dovrebbero fermare i calciatori, che rischiano meno di tutti.
Vincenzo Spadafora: il ministro che si era opposto
In tutta questa storia ciò che più salta all’occhio è il protagonismo di alcuni attori. Su tutti il ministro dello sport Spadafora. L’impressione è che il titolare del dicastero dello sport stesse utilizzando, da buon politico, la situazione ai fini di rendersi protagonista verso l’opinione pubblica. D’altronde quando la politica si trova ad affrontare un problema che coinvolge così tanti appassionati è fisiologico che ne sfrutti la cassa di risonanza. È un atteggiamento che si ripete nella storia italiana, indipendentemente dal colore politico.
Il calcio come La salute pubblica
Qual era l’interesse del governo nel bloccare il calcio?
Una situazione estremamente contraddittoria è quella degli allenamenti consentiti dal 4 maggio nei parchi cittadini. Contraddittoria perché si considerano più sicuri per la salute pubblica, che dovrebbe sempre essere l’obiettivo del governo, mandare la gente comune negli spazi pubblici e non lasciare allenare i calciatori nei centri sportivi, evidentemente più protetti e controllati, e quindi sicuri.
Serie A perché è bloccata? Il caso del calciatore positivo
Una delle obiezioni più diffuse alla ripartenza è il dubbio su cosa si farebbe nel caso che un calciatore risultasse nuovamente positivo al CoViD-19. Detto che con le misure di sicurezza che sarebbero adottate, il rischio di contrarre il virus è infinitamente inferiore a quello di qualsiasi altra persona, se ciò accadesse ci sarebbero due strade possibili da percorrere: bloccare di nuovo tutto oppure considerare la persona malata come un infortunato.
Il pericolo diffusione tra i calciatori
Una delle ultime partite giocate è stata Juventus – Inter. Nelle fila della Juventus si sono rivelate le positività di Rugani, Dybala e Matuidi tra i bianconeri. Ma questi calciatori hanno giocato insieme a quelli dell’Inter e tra i nerazzurri non si sono rivelate positività, hanno condiviso lo spogliatoio con i compagni eppure non sono stati tutti contagiati, si sono abbracciati dopo il gol, ma solo i tre sono stati trovati positivi. Allora probabilmente giocare a calcio non è poi così più pericoloso che fare un altro mestiere, e adottando il protocollo FIGC lo è ancora meno.
Serie A: cosa accade se non si riparte?
Lo spettro del blocco dei campionati spaventa il mondo del pallone, e non solo. Bisogna capire che il calcio non è fatto solo da milionari che si rincorrono in un campo verde. Il calcio è fatto da migliaia di persone che lavorano, sia direttamente alle dipendenze della società sia con i servizi collaterali. Basti pensare al Napoli che ha dovuto mettere in cassa integrazione i propri dipendenti.
Quali sarebbero le perdite per la serie A
Questo significa che all’erario, quindi alla collettività, vengono versati 23 milioni 250 mila Euro. Solo se non si ripartisse con la Serie A, e solo per i 4 mesi compresi nell’accordo tra i calciatori della Juventus e la stessa società, e solo per questo calciatore, la perdita per lo Stato sarebbe di 7 milioni 750 mila Euro. Allargando l’osservazione alla sola Juventus, la cifra arriva a 30 milioni 445 mila euro (si sono presi i dati della Juventus perché pubblici essendo una S.p.A).
La morte e la vita: le contraddizoni del Corona Virus
Quello che sta succedendo a causa di questo virus è sotto gli occhi di tutti. Non si può ignorare il dolore delle persone, non si possono ignorare le decine di migliaia di morti. Questo è evidente. Come è comprensibile il desiderio di chi sta vivendo questa tragedia di non voler minimamente pensare al calcio e allo sport.
Se non ora, quando?