La MotoGP oggi
Indice dei contenuti
ToggleVe lo dico subito: non mi piacciono queste alette che spuntano dalla carena, non mi piacciono proprio per niente. Perché rovinano l’estetica della moto. Perché spezzano quelle linee morbide che da sempre fanno di una motocicletta da corsa un punto di congiunzione tra la sezione aurica e l’idea iperuranica di bellezza.
Ma la mia opinione conta poco e ancora meno quando in palio ci sono la vittoria di un mondiale e di conseguenza un discreto gruzzolo di denari.
Il percorso storico dagli anni Cinquanta a oggi
Si perché fin dagli anni ‘50, si cominciarono a studiare delle carene che potessero fendere meglio l’aria e portare un miglior assetto alle moto. Chi non ricorda certi “siluri” che sembravano più dei bob che delle motociclette? Sua maestà Agostini, nel lontanissimo 1974 alla guida di una Yamaha, aveva testato degli “spoiler” durante le prove del Gran Premio di Germania per poi cassarli immediatamente. Non ci è dato sapere, se per questioni di estetica oppure di poca efficienza, d’altra parte tertium non datur; fatto sta che da quel lontano 1974 sempre la Yamaha ci riprovò con Checa e Biaggi nel 1999. Anche in quel caso queste “escrescenze” non ebbero fortuna. Poi si arrivò a Valentino, nel 2010, quando cercava di domare un cavallo impazzito uscito dalle officine di Borgo Panigale e che provò a portarle in gara fin dal Sachsenring, ma anche in quel caso il Dottore disse “NO”. E ci volle Dall’Igna, quando arrivò a dirigere la MotoGP delle rosse, per farle ritornare in auge.
La novità introdotta dalla Honda: le winglets
Quindi sono arrivati anche i giapponesi a montare questi “accessori” sulle MotogGp e allora forse tanto accessori non erano. Si sa che i giap non sono molto affini a cedere a mode o a orpelli che non siano strettamente funzionali all’assetto della moto, soprattutto alla HRC, dove la filosofia è: “Facciamo una scelta e portiamola avanti anche davanti all’evidenza di una scelta sbagliata, perché poi saremo in grado di trasformarla non solo in una scelta vincente, ma anche rivoluzionaria”.
Ogni motociclista credo che consideri le winglets, le ali, i flap, chiamateli come volete, un semplice accessorio il cui vantaggio è decisamente ridotto rispetto al non averle. A sentire i piloti, non è che le alette mostrino tutta questa differenza. In realtà, in termini di accelerazione, c’è. Sicuramente in termini prestazionali non comporta un miglioramento di secondi, ma più facilmente di centesimi al giro. L’ala permette di ridurre l’impennamento e fa quindi si che si possa tagliare meno potenza permettendo quindi, in uscita di curva, di avere un pelo di spunto in più. A dimostrazione di questo sta il fatto che la scorsa stagione sia Marquez che Pedrosa si erano lamentati di non avere abbastanza potenza nella prima fase di apertura del gas. Da qui evidentemente la realizzazione delle ali che hanno permesso di avere più grip e limitato l’impennamento della moto, perché hanno evitato l’alleggerimento eccessivo dell’anteriore. Il risultato è stato evidente nel modo in cui Marquez ha concluso la scorsa stagione.
La prima idea di winglets: la Ducati
Comunque, nel 2015, Ducati con un investimento di tempo e denaro decisamente importante, introdusse le winglets per rendere più stabile la moto in curva e per distribuire meglio il carico aerodinamico tra avantreno e retrotreno, permettendo di trovare carico sull’avantreno in modo molto più efficace. Questa cosa che portò anche a creare una carena con un miglior coefficiente di penetrazione. Ma nel 2017 furono messe fuorilegge dalla Dorna, su “suggerimento” Honda, con delle motivazioni di sicurezza che forse erano un po’ discutibili. Ducati dovette ingoiare il boccone amaro, malgrado le proteste.
Ma non era più possibile tornare indietro e l’aerodinamica è diventata uno dei punti più importanti delle case costruttrici. Oramai tutti passano dalla galleria del vento e tra alette e carene “manga” i costi sono lievitati tanto che si è dovuto modificare il regolamento per la stagione in corso. Si sono posti nuovi limiti, ma siamo chiaramente indirizzati verso una presenza sempre più massiccia di questi “pezzetti di plastica” che forse ora cominciano ad avere un peso maggiore.
Un confronto fra passato e futuro in MotoGP
Certo, preferivo i tempi di Roberts, Spencer, Lawson, Gardner, Rainey, Schwantz o Doohan. Quando i piloti erano strepitosi manici e contemporaneamente romantici folli che gettavano la loro vita sulle piste guidando motociclette impossibili da gestire. Quando non esisteva l’elettronica e l’aerodinamica era passatempo per un gruppetto di ingegneri della Formula Uno: era solo il pilota che contava. Solo il suo manico e la sua follia. Ma abbiamo dovuto lasciare sulle piste del motomondiale troppi ragazzi per ricordare quegli anni soltanto come la Golden Age delle due ruote.
Le alette sono brutte, ma aiutano le moto a restare incollate al suolo evitando, spesso, che il “mustang” disarcioni il fantino con effetti imprevedibili e molto spesso drammatici.
Quindi: morte alle winglets; evviva le winglets!
A cura di Carlo Fedele