L’Inter perde 1 a 0 lo scontro diretto in casa contro la Lazio, di nuovo in corsa per un posto Champions, e a fine partita volano gli stracci.
Stanchezza, tanta stanchezza: ecco la sensazione preponderante al fischio finale. Certo, frammisto alla stanchezza c’era anche il fastidio per una partita giocata con l’unico ormai stantio canovaccio dei continui cross, quasi tutti alti, innocui e preda dell’attento Strakosha, per un centravanti che non c’è o per un inserimento da dietro inesistente; c’era la rabbia a stento trattenuta per la faccenda Icardi, e la delusione per l’ennesima occasione persa di allungo sulle inseguitrici (tutte perdenti ieri). Ma su tutto questo coacervo di sensazioni, indubbiamente la stanchezza era quella preponderante. Perché io sono disposta ad affrontare sconfitte di misura, e catastrofi sportive tipo il 6 a 0 nel derby o il 2 a 5 ai quarti di Champions League contro lo Shalke 04, anzi, dirò di più, mi sta bene da tifosa vivere la delusione di un 5 maggio, ma non posso accettare di vivere imprigionata in un reality trasmesso via social o interviste giorno dopo giorno.
Non posso sorbirmi un capitano che non più capitano, si tira fuori dalla squadra lamentando un dolore al ginocchio che fino a quel momento non gli aveva impedito di giocare ogni tre giorni, fino a diventare improvvisamente insopportabile nel momento in cui gli è stata tolta la fascia. Fascia paragonata dalla di lui gentil consorte e procuratrice prima ad un braccio e poi a una gamba, con la precisazione che senza gamba non si può giocare. Un giocatore che negli anni era stato assunto a simbolo dell’Inter che, nei quasi quaranta giorni lontano dal gruppo (e del resto siamo in tempo di Quaresima), ha scritto di amore per la famiglia nerazzurra e di rispetto – con l’Inter, per l’Inter, vi ricordate? – e poi ha avuto bisogno di un avvocato per negoziare la fine del suo infortunio. E pazienza se, mentre difendeva il suo orgoglio ferito, la squadra affrontava i momenti più importanti della stagione in una situazione di piena emergenza: la partita di Europa League contro l’Eintracht su tutte. L’Inter è stata eliminata, ma probabilmente in casa Icardi si è tenuto il punto, e quindi tutti su instagram a festeggiare, ma mi raccomando in bianco e nero eh. E poi, una volta avvenuto il reintegro, facciamolo apparire come fosse un favore, un piacere che sua maestà Icardi ci fa, quello di giocare per la società a cui ha dato tanto, ma che lo ha reso ciò che è scommettendo su di lui quando aveva solo 19 anni e coccolandolo come fosse il nostro nuovo Ronaldo.
Non posso più sopportare l’idea di avere in squadra giocatori che anche se in maniera meno eclatante di Icardi, pensano solo ai propri interessi: una volta è il mondiale da giocare, un’altra è il trasferimento in premier… e mettono su quel broncino da bambino viziato portato a spasso dai genitori, quando lui invece avrebbe preferito continuare a giocare con i suoi soldatini nella sua cameretta. Perché io le braccia conserte e l’espressione imbronciata in quella foto di gruppo ad inizio ritiro di due anni fa mica me la sono scordata sai, caro Perisic. Mi torna in mente ogni volta che non decidi di non saltare l’uomo perché sembra ti faccia fatica, o ogni volta che scuoti la testa. E mi è tornata in mente anche quando sembravi rivitalizzato dopo la degradazione di Icardi, quando correvi a destra e sinistra, facevi gol e ti sbattevi come se ti importasse qualcosa. Effetto durato due partite, poi devi aver pensato “ma chi me lo fa fare? Tanto a giugno me ne vado, e questa volta sul serio”.
E che dire di Nainggolan? “Strappato” alla Roma per farci fare il salto di qualità, è riuscito a giocare un terzo delle partite per i numerosi problemi fisici – sfiga – e si è distinto più per audio compromettenti inviati alla volta di Roma che per prodezze in campo. Per non parlare del suo indulgere alla dolce vita milanese, che lo ha portato a una salatissima multa inflitta dalla società e all’umiliazione di dover fare un patto con allenatore, dirigenti, staff tecnico per mettersi a dieta, allenarsi bene e condurre una vita da atleta. Cioè è stato necessario negoziare quello che dovrebbe essere il normale comportamento di un professionista. A suo favore bisogna però dire che almeno ci sta provando, e anche ieri con quella percussione ci ha dato il barlume di quello che poteva essere e che non è stato.
E a questo punto la stanchezza è anche nei confronti di Spalletti, l’allenatore che ci ha riportato in Champions League dopo un digiuno lunghissimo, che la scorsa stagione ha saputo ritrovare il bandolo della matassa quando tutto sembrava perduto, che ha rivitalizzato Brozovic e per un paio di partite anche Joao Mario, prima di rimetterlo nel dimenticatoio da cui lo aveva tolto. Quello stesso Spalletti che ha difeso l’Inter e gli interisti in più occasioni, dopo torti arbitrali o attacchi giornalistici gratuiti, sia con quel suo tono monocorde da supercazzola prematurata, che con invettive appassionate. Ma adesso ha stancato anche lui, Spalletti, con i suoi cambi cervellotici e con quelle continue frecciate che ormai fanno sembrare anche lui più attaccato alla sua guerra personale che al bene della squadra. Perché, dopo le esternazioni di ieri sera a fine partita, da una parte non posso che dargli ragione: per un tifoso sapere che uno dei tuoi giocatori simbolo mandi un avvocato a trattare per tornare a non essere più infortunato e tornare a giocare è più che umiliante, è offensivo! È un’offesa alla nostra passione, che ci tiene pendenti ai loro piedi, alle loro prodezze e ai loro errori. Ma dall’altra vorrei che si mettesse fine alla telenovela che ha stancato, e che sta dividendo i tifosi in pro e contro Icardi come neanche Mosè con le acque del Mar Rosso. Il punto, Spalletti, lo aveva già tenuto, giustamente, non convocando Icardi: con l’infortunio di Lautaro lasciare Mauro a casa è stato un segnale forte e chiaro all’argentino e allo spogliatoio tutto, ai giocatori che hanno tirato la carretta anche quando il nove se ne stava stravaccato sul lettino a fare fisioterapia. Spalletti ieri parlava di credibilità nello spogliatoio, e quello era il suo modo per mantenerla. Il messaggio era talmente chiaro che non c’era bisogno di dire niente, di alzare un altro polverone.
Un polverone che alla fine coinvolge anche la società, perché se a sentirsi umiliati da una trattativa con un avvocato sono i tifosi, a maggior ragione lo dovrebbero essere anche quei dirigenti – da Steven Zhang a Marotta – che a quel tavolo si sono seduti per ricomporre la situazione e non svalutare del tutto il giocatore anche nell’ottica di una futura cessione. L’impressione è che se Spalletti parla così i casi sono due: o è dotato anche lui di un ego di difficile gestione, e sarebbe solo uno in più in questa sciagurata stagione, oppure, più probabilmente, si sta togliendo qualche sassolino dalla scarpa, consapevole ormai che il prossimo anno non siederà più sulla panchina dell’Inter.
In entrambi i casi si prospettano tempi duri, che dovremo affrontare con Lautaro e De Vrji ancora infortunati e Genoa e Atalanta già alle porte.